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Vorrei raccontare anche io di una casa,
proprio di quella casa che appartiene alla
mia famiglia da quasi cento anni.
Nell'immagine riportata sulla copertina si
staglia in primo piano la mitica nonna
Maria che l'acquistò con il nonno Pietro.
Alla fine degli anni settanta del secolo
scorso fu poi totalmente ristrutturata dai
miei genitori, con enormi sacrifici, quando
io e mia sorella eravamo bambini. Papà e
mamma vi profusero inenarrabili energie: è il
simbolo del loro orgoglio, del loro riscatto,
della loro rabbia canalizzata a fin di bene,
della loro passione, delle notti trascorse
davanti al caminetto a far quadrare i conti, a
valutare e ponderare per non fare il passo
piú lungo della gamba. È la casa del loro
infinito e eterno amore, di mia sorella che
diventa ragazza prima, bellissima sposa poi,
infine donna e mamma di Lorenzo che lí
trascorre i suoi primi giorni di vita. È la casa
dei miei studi, di ore infinite con gli amici di
sempre a giocare a Subbuteo o a guardare le
partite della nazionale, del colore del grano
che i contadini spargevano nei mesi estivi
sull'aia antistante (sembra una pratica
antica: vi assicuro invece che sto parlando
degli anni novanta), del profumo del forno
per le torte pasquali, dei gerani rossi della
mamma sul terrazzo, della fragranza del
gelsomino a primavera, della salsedine del
mare assaporata sulle braccia d'estate, della
brina d'inverno, delle Alpi Apuane che si
vedono bene dalla
finestra del bagno. È,
insomma, un passato
che non ritornerà ma
che resta - indelebile e
intatto - scolpito nella
mia anima
(dall'introduzione di
Carloalberto Giovannetti). |
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