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Era un albero di fico, come mai se ne erano
visti, alto piú di trenta metri e con un grosso
tronco spaccato in due nella parte iniziale: una
fenditura ampia tale da consentire un rifugio a
una persona rannicchiata. In quel momento in
cui l'albero era stato afferrato da quelle mani
spaventose, a lui - piú che ricordargli delle tante
volte che vi si era rifugiato per non farsi trovare
e sfuggire cosí alle incessanti, amorevoli cure
della madre che lo infastidivano come se fosse
stato una debole femminuccia - fece venire in
mente qualcosa che ancora, in età matura, gli
procurava disagio ma anche dolce e inspiegabile
turbamento: allorché ragazzo di circa dieci anni
- curvato sotto l'albero nella calura estiva -
toglieva dai pantaloncini il membro e lo
mostrava a lei, inginocchiata di fronte con le
gambe divaricate a indicare con lo sguardo
quella palpitante intimità che occhieggiava tra
la calda peluria bionda. Lei gli aveva detto che
solo cosí facendo le cicale - che frinivano in quel
pomeriggio - avrebbero smesso per rifugiarsi con il
loro canto per sempre in quel roseo triangolo e egli
avrebbe preso da lí le cicale, succhiandole con
le sue tenere labbra (l'incipit del libro).
Gianni Mazzei
Villapiana
20.02.2016
Palazzo Gentile
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