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Intervista a Marco Del Bucchia di Riccardo Cardellicchio

Intervista a Marco Del Bucchia di Riccardo Cardellicchio


Marco Del Bucchia, giovanissimo, ha deciso di fare l'editore e di farlo in Versilia. La sede è a Massarosa, ma l'ufficio operativo è in quel di Viareggio. Ha all'attivo numerose pubblicazioni. In questo periodo, è in libreria e nelle edicole con un'antologia (in due volumi) intitolata "V", che presenta i racconti gialli, noir e gotici di alcuni autori toscani.

Cosa ti ha spinto a fare l'editore? Anche se questa non è un'attività poi cosí comune (quando ormai parecchio tempo fa mi sono presentato per l'iscrizione, alla Camera di Commercio di Lucca non sapevano in che settore inserirmi!), per me è stato piuttosto naturale: mio zio ha una tipografia e mio padre ha lavorato per anni nell'università. Fin da piccolo mi sono trovato in mezzo ai libri, e non è stato difficile prenderci passione. A me poi il libro piace anche fisicamente, quasi fosse un oggetto di design: purtroppo, in particolare oggi, molti libri sono poco curati sia nei contenuti che nell'aspetto "estetico"...

Quali sono i problemi per un piccolo editore? Sono molti e credo si possano dividere in due grosse famiglie. I primi sono quelli per cosí dire "interni". Mi riferisco ai problemi legati allo svolgimento dell'attività editoriale in senso stretto. Questi sono, comunque, anche dei grandi editori: per tornare a quanto già accennato piú sopra, purtroppo ci sono molti, troppi libri (anche di grandi editori) curati veramente male. I secondi problemi invece sono definibili, in un certo senso, "esterni" e sono propri esclusivamente dei piccoli editori. Quando un piccolo editore ha relazioni con terzi, spesso si trova in carenza di mezzi e di peso contrattuale. Ed anche se serio (ed io mi ritengo tale), non è detto che abbia la giusta udienza.

È vero che la distribuzione è un nodo troppo stretto che spesso soffoca in partenza le idee? Qualcosa del genere. Distribuire, ed anche promuovere, adeguatamente una pubblicazione è assai dispendioso in termini di tempo, energie e denaro. Sottolineo anche l'aspetto del promuovere, perché, proprio principalmente per i piccoli editori, non è detto che avere un grosso distributore sia sufficiente. Capisco anche i problemi degli stessi distributori e librai (soprattutto in questi ultimi anni in cui la grande distribuzione ha risucchiato un'ampia fetta del mercato librario): vengono sommersi, mese dopo mese, da una infinità di libri ed è di certo piú semplice vendere i titoli dei grandi editori, supportati da una rete promozionale forte e consolidata. Per dare una risposta anche positiva a questa domanda, credo che in modo particolare un piccolo editore debba partire con serità e "dal fondo". Mi spiego: prima di tutto disegnare un progetto editoriale, magari umile ma serio, e su questa base concentrare gli sforzi, indirizzandoli tutti in quella ben precisa e determinata direzione, in modo da non disperdere le poche energie.

Ritieni che un piccolo editore debba guardare maggiormente al territorio in cui opera? Credo che sia al contempo una scelta di serietà e di opportunità. Intanto si può lavorare meglio se si conosce bene ciò di cui si tratta, e per un piccolo editore è assai difficile poter avere tutte le consulenze necessarie per "spaziare" con competenze adeguate in campi piú "lontani" dalla propria esperienza. Guardare maggiormente al territorio vuol dire poi poter proporre da parte del piccolo editore (conoscendo assai bene il territorio a cui è legato) opere che magari anche i grandi editori avrebbero difficoltà a produrre con eguale perizia. Cosí facendo si ha la possibilità di essere, per cosí dire, leader locali su determinati prodotti editoriali, sperando quindi in un certo riscontro di vendite. Guardare al territorio però non può voler dire chiudersi in una ristretta cerchia: credo che per un editore la sfida piú interessante sia sempre e comunque lo scoffale della libreria, dove ogni libro si confronta apertamente con quello che ha accanto, a prescindere da chi siano i rispettivi editori. Alla fine, questo deve essere l'obiettivo anche del piccolo editore.

Ritieni che la Toscana abbia un'editoria che rispecchia la sua importanza? Penso che la Toscana meriti qualcosa di piú. Non voglio cadere nel banale, ma non posso neanche essere smentito affermando che è la madre della nostra lingua, ovvero della materia prima di cui sono fatti i nostri prodotti, i libri. Credo che la Toscana abbia grossissime potenzialità e che, in particolar modo negli ultimi anni, sia stato lasciato una sorta di vuoto editoriale, manchi, cioè, quell'editoria che in passato era stata capace di parlare in modo immediato e diretto della e alla nostra terra. Questa, peraltro, è la prima delle convinzioni che mi ha spinto a stilare un progetto editoriale, che vedrà la luce proprio nel corso di questo 2006, incentrato perlappunto sulla nostra regione.

Come giudichi il rapporto editoria-istituzioni? Un brutto rapporto. Mi sembra che gli editori vedano nelle istituzioni esclusivamente una facile sorgente di guadagno legata non tanto alla qualità delle opere proposte quanto ad altri fattori. Dall'altra mi sembra che le istituzioni non sfruttino affatto le potenzialità che potrebbero offrire gli editori, forse, in modo particolare, proprio quelli piccoli.

Che rapporto hai con gli autori? Strano e dipende molto da autore ad autore. Sulla copertina del libro compare, in fin dei conti, tanto il nome dell'autore quanto quello dell'editore (in genere stimo assai di piú gli editori che rischiano il proprio nome e cognome, senza cercare denominazioni di fantasia): quello dell'editore magari è piú piccolo, ma c'è pur sempre. Questo per dire che tengo ai libri che pubblico: non sono solo dell'autore, sono anche miei. Li sento profondamente miei. Ed è per questo che non sempre vado d'accordo con tutti. Pubblicare un libro, al di là del contratto che si sottoscrive, credo rappresenti una sorta di piccolo matrimonio: ciò presuppone stima reciproca. Con alcuni autori mi sembra che si inneschi immediatamente il feeling giusto, con altri il rapporto parte male. Non è detto, però, che ciò che parte male non possa migliorare. Ed è vero anche che a volte, purtroppo, avviene il contrario. La cosa alla quale comunque, anche se sono preparato, non riesco mai ad abituarmi del tutto è il fatto che gli autori, in genere, sono creativamente e divertentemente bugiardi, in modo anomalo, non tipo la gente comune, senza secondi fini: sembra quasi che la "storia" da loro, anche se già avvenuta, possa ancora essere cambiata, un po' come fanno con le loro pagine. Un po' come se non avessero ancora scritto la parola fine.
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