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Ognisette.it - 13.04.2011
Ognisette.it - 13.04.2011
C'è libertà nel gesto di ogni donna che si fa soggetto di giustizia
di Paola Meneganti
Livorno. A proposito dell'"Abbecedario del lavoro femminile", di Antonella Faucci, Maria Pia Lessi e Jaqueline Magi. Presentazione al centro Donna Liliana Paoletti Buti. Quando Maria Pia mi ha chiesto di presentare il libro "Abbecedario del lavoro femminile", ho provato gioia. Lo dico, perché mi sono interrogata su questo. E ho capito che la gioia nasceva da un rispondere alla mia esperienza, e ad alcuni tra i desideri più forti che ho avuto e che ho nella vita: la pratica politica femminista e l'azione e l'interesse per il mondo del lavoro. Leggo "lavoro femminile" e mi sento a casa. Leggo "Abbecedario", e penso alla lingua, alla lingua che si impara, alla cura della lingua e a quanto sia importante per noi. La lingua è stato il primo luogo politico in cui la libertà femminile si è significata: le parole per dirlo. È accaduta non per caso, la libertà femminile. In "Non credere di avere dei diritti", si parla del kairòs, del momento giusto in cui le cose vanno a posto in un certo modo e si accompagnano in un certo modo si legano in un certo modo. "Significa che più cose disparate si combinano insieme e realizzano lo scopo come chi mirava allo scopo, ma prima e meglio". Ho letto così, in questa chiave, la cronologia ed il commento ragionato delle leggi, e la parte su "La nostra storia", le tappe del lavoro femminile che le autrici inseriscono nel libro: lo dice la nostra Susanna Camusso segretaria generale della CGIL, nella prefazione la nostra è una storia lunga, fatta di salti, in avanti, di salti di gioia, ma anche di strappi, cadute, momenti bui. L'iscrizione in una genealogia: un grande guadagno del femminismo. Un venire al mondo di donne legittimate dal riferimento alla loro origine femminile. Il valore del lavoro. Ne abbiamo parlato lo scorso 11 dicembre, con le giovani donne di "Diversamente occupate". Dicono le autrici dell'Abbecedario: Donne colte, intelligenti, sensibili che affermano: "La condizione di precariato, di lavoro e di vita che la nostra generazione sta vivendo ricrea forti differenze di classe. È vero: c'è chi può e chi non può, come si dice. C'è chi può permettersi di continuare a studiare e chi no; c'è chi è sicuro di avere prima o poi una casa di proprietà e chi sa che non potrà mai averla; c'è chi sceglie di farsi una famiglia anche se ha un lavoro precario - perché ha il sostegno dei familiari - e chi una famiglia stenta a costruirla; c'è chi – anche a fatica - può permettersi di scegliere il proprio lavoro, il proprio reddito, il proprio percorso politico. E c'è chi non può perché la società ha deciso che non c'è tempo per il pensiero e l'azione politica, non c'è tempo per seguire i propri desideri, per lavorare e vivere con agio. Ma una possibilità c'è: c'è sempre. Basta lavorare per una rete di saperi , come stiamo facendo al Centro Donna, tenendo ben presente sí il linguaggio, il desiderio, la libertà, ciò che ci piace fare, le condizioni materiali delle donne al lavoro e le reti di solidarietà, ma anche la classe. Termine desueto che torna prepotente e deve tornare al centro del discorso politico. È da qui che si parte per negoziare!". Dicono ancora le autrici: "Il ruolo lavorativo o sociale è per noi una componente della personalità", "Lavorare assume anche altre valenze, come la possibilità per una persona di pensare e progettare il proprio futuro". E ancora: "Quanto alla parola lavoro si coniughi la parola libertà". "La questione del lavoro è centrale perché è la rappresentazione del futuro". È così: il lavoro non esaurisce la nostra dimensione, ma ci dice molto sul futuro, sul fatto che ci possano essere progettualità, creatività e relazione. Aggiungo che fonte di relazione importante è il lavoro. E di relazione tra donne in particolare: e la civiltà delle relazioni tra donne, quando esistono, è impagabile, è preziosa – è un tesoro. Alcuni temi : Luciana Castellina ha parlato di "emancipazione neutralizzante". La contraddizione scoppia, per mote ragazze, con il "doppio sì", al lavoro fuori casa ed alla maternità. Si manifesta, allora, con tutta evidenza un mondo che è fatto dagli uomini e non per le donne. Ci piacerebbe un welfare più centrato sulla relazione, anche familiare, ma non solo. Lo sappiamo, le donne italiane sono le meno prolifiche e le più laboriose del mondo. Il rapporto tra libertà e flessibilità: la flessibilità coniugata dagli ultimi governi ha portato illibertà. L'ingombro femminile: l'imprevisto nella storia degli uomini. Una forza che si dispiega: per questo, non si deve parlare di debolezza, dice Camusso, ma di discriminazione. Le parole chiave, dice Antonella Faucci, sono: informazione-relazione-negoziazione. Ancora due note: sempre Castellina ha detto che si è parlato spesso in malo modo della Resistenza, in modo non curato, a volte non libero. Si è tralasciato l'aspetto sociale della Resistenza, quello che faceva respirare la libertà su quei monti, in quei rifugi clandestini, alle donne ed agli uomini. Ce lo ha raccontato, lo scorso aprile, qui al Centro, Laura Seghettini, partigiana. È importante che le autrici abbiano inserito nel libro questo aspetto. Colpisce l'accuratezza e la diffusione con cui si parla dello scenario europeo, cornice e garante di normative e della giurisprudenza collegata, elemento vitale in presenza di incertezza e regressioni nel contesto nazionale. La possibilità di fare diritto: la consapevolezza che "c'è libertà nel gesto di ogni donna che si fa soggetto di giustizia". Riporto un brano: "[…] In questo scenario ci troviamo noi tre (una magistrata e due avvocate): diverse per età, esperienze lavorative e linguaggi. Ma con tre punti condivisi. Il primo è che non sono le donne che non vanno bene per questo mondo del lavoro, ma è questo mondo del lavoro che non va bene per le donne (e neppure per gli uomini) perché il mercato regolato dal denaro è solo mezzo mercato e non basta a rendere possibile la ricchezza di scambi di cui la vita umana è capace e desiderosa. Questo mondo del lavoro va quindi cambiato: riconoscersi soggetti di giustizia (diritto ad essere se stesse con sovranità, dice Irigaray) significa riconoscersi capaci di proporre regole che modifichino i codici esistenti, sia nella forma che nella sostanza. Il secondo è che assumere l'amore di sé come donna, la consapevolezza del valore del proprio essere donna per pensare e produrre nuove regole è far registrare anche nel mondo della legge i grandi cambiamenti che ci sono stati e la libertà che le donne vivono, nonostante tutto. Solo la pratica politica di donne che si mettono in relazione per progettare il mondo a somiglianza dei propri desideri può determinare modificazioni significative. Il terzo è che siamo consapevoli - per averlo provato nei tanti incontri che in questi anni abbiamo avuto - che c'è libertà nel gesto di ogni donna che si fa soggetto di giustizia. L'amore di sé come donna, che è l'amore per la madre e l'iscrizione in una genealogia. Per finire: grazie per aver dedicato il libro alle vostre madri. Le nostre madri hanno dato credito ad un desiderio di esistenza libera, e fiducia nelle altre che avevano questo desiderio.
Libri correlati
Antonella Faucci, Maria Pia Lessi, Jacqueline Monica Magi
Abbecedario del lavoro femminile/1
Ovvero: per un mondo nuovo in cui la condivisione si sostituisca alla competizione
2011
Prefazione di Susanna Camusso, contributo di Antonella Ciriello

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