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L'Etrusco - 01.03.2011
L'Etrusco - 01.03.2011
La straordinaria avventura del regio cacciatorpediniere Turbine, l'ultimo romanzo di Alberto Fiaschi
di Mirio Pasquinucci
L'8 settembre del 1943, all'annuncio dell'armistizio, il cacciatorpediniere Turbine era all'ancora nel Porto del Pireo. Fino a quel giorno aveva compiuto 252 missioni di guerra, 66.495 miglia marine e 5.607 ore di navigazione. Su questa nave Rodolfo Fiaschi, padre dell'autore di questo romanzo, fu imbarcato dal febbraio 1941 al novembre 1942, in qualità di capo cannoniere di terza classe. Alberto, da ragazzo, aveva ascoltato con pazienza, ma con scarso interesse, i racconti del padre sulla sua vita da marinaio e sugli eventi bellici del periodo. La maturità, finalmente, gli ha dato consapevolezza del valore dei fatti di quella guerra del mare, e della gesta dei suoi protagonisti, rimasti anonimi e mai celebrati dalla storia ufficiale, ed ha voluto fissare concretamente la memoria alle narrazioni del padre, affinché i grandi valori maturati in quel tempo non vadano persi. "Perché non si dimentichi", come scrive nel sottotitolo del suo libro. Due sono le facce della storia: quella fatta dai protagonisti, da coloro che hanno combattuto e spesso sono morti per l'affermazione dei comuni ideali di libertà, e quella scritta da chi è venuto dopo, che ha sovente interpretato i fatti e li ha riferiti trascurandone aspetti non conosciuti, o sopravvalutando eventi imprecisi e plasmando la verità, nella buona o nella cattiva fede. La storia ufficiale riporta le grandi strategie, gli eventi più importanti, o forse sarebbe meglio dire i più rappresentativi, ma trascura spesso le piccole azioni, numerosissime, che hanno deciso le sorti di numerose guerre. Dell'Indipendenza italiana vengono ricordati, sui testi ufficiali, i grandi personaggi, simboli delle memorabili imprese, ma non sono citati i numerosi eroi sconosciuti, di cui mai nessuno saprà il nome, e nemmeno il gesto ultimo che li ha immolati sull'altare della agognata libertà. Questo libro, senza la supponenza aulica di certi resoconti grondanti di pomposa maestosità, a volte anche di incerto intento, vuole dare una diretta testimonianza di chi ha preso parte all'azione in tutte quelle "piccole" missioni che hanno consentito la realizzazione dei fatti destinati ad essere consacrati nei secoli a venire. L'autore, nella sua introduzione, cita una appropriata frase di Tacito: "Sono consapevole che molti dei fatti che ho raccontato e che racconterò sembreranno di scarso rilievo…Tuttavia non sarà inutile osservare con attenzione quei fatti che a prima vista potrebbero sembrare di scarsa importanza e che spesso invece potrebbero dare origine a grandi eventi". Seguendo il filo dei ricordi del padre, che narra fin nei dettagli le piccole battaglie combattute sul mare allo scopo di proteggere il traffico mercantile, organizzato per rifornire le forze impegnate dei grandi scontri sui fronti greci ed africani, l'autore intende proprio riportare l'attenzione su chi più di altri l'ha meritata, ed è caduto, invece, nella completa indifferenza del resoconto storico ufficiale. "Ed allora, nel nostro immaginario la guerra sul mare è rimasta solo quella delle grandi battaglie, troppo spesso raccontate da chi non le aveva affrontate, dove a combattere erano le navi e non gli uomini dei loro equipaggi ed a colare a picco erano ancora e solo le navi, svuotate del loro prezioso carico umano." La cronaca del libro riporta fedelmente lo sconquasso delle cannonate e delle bombe degli aerei, e il coraggio dei marinai impegnati a difendere la loro nave anziché la loro vita. Ed ancora, il divampare degli incendi, il rumore lacerante del metallo dilaniato, le grida disperate dei feriti. E il silenzio di chi aveva perso la vita. Gli importanti personaggi ricordati nei testi ufficiali, impegnati più che altro nei grandi confronti di strategia, non hanno mai ascoltato l'urlo della battaglia senza speranza, e non hanno mai sbeffeggiato il pericolo estremo ormai inevitabile, cantando "…Andar, pel vasto mar, ridendo in faccia a monna morte ed al destino…" Antonio Fogazzaro, quando nel 1901 scrisse la sua famosa "Preghiera del marinaio", non si rivolse ai celebrati strateghi, né ai grandi statisti. Altri erano quelli che di fronte all'attimo estremo rivolgevano l'ultima supplica che non chiedeva fama nel presente, né gloria per il futuro. Si rivolgevano all'Eterno Iddio chiedendo sommessamente: "Benedici". Questo romanzo vuole essere, oltre che il giusto riconoscimento alle gesta del padre dell'autore, decorato con alcune croci al valore militare, un omaggio a tutti coloro che hanno visto ingiustamente dimenticato il loro nome, o lo hanno conservato scritto, insieme a centinaia di altri, piccolo e difficilmente leggibile, su una grande lapide di marmo. Indistinguibile segno a cui nessuno dedicherà nemmeno un minuscolo impulso di curiosità. E' un libro che dovrebbe avere almeno pari dignità di certi tomi rilegati in cuoio, che fanno bella mostra di sé negli scaffali di legno pregiato, in alcune aule che incuterebbero, agli "altri" eroi, un inquietante timore reverenziale.

La preghiera del marinaio

A Te, o grande eterno Iddio, Signore del cielo e dell'abisso, cui obbediscono i venti e le onde, noi uomini di mare e di guerra, Ufficiali e Marinai d'Italia, da questa sacra nave armata della Patria leviamo i cuori. Salva ed esalta, nella Tua Fede, o gran Dio, la nostra Nazione. Dà giusta gloria e potenza alla nostra bandiera, comanda che la tempesta ed i flutti servano a lei; poni sul nemico il terrore di lei; fa che per sempre la cingano in difesa petti di ferro, più forti del ferro che cinge questa nave, a lei sempre dona vittoria. Benedici, o Signore, le nostre case lontane, le care genti. Benedici nella cadente notte il riposo del popolo, benedici noi che, per esso, vegliamo in armi sul mare. Benedici!
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Alberto Fiaschi
La straordinaria avventura del regio cacciatorpediniere Turbine
Perché non si dimentichi
Romanzo
2010
Prefazione di Ernesto Muliere, copertina di Alberto Fiaschi

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