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Erba d'Arno - 21.03.2010
Erba d'Arno - 21.03.2010
L'inimitabile canto scenico di Franco Calabrese
di Carmelo Mezzasalma
Renzo Cresti, "Franco Calabrese nella storia del teatro lirico italiano", Marco Del Bucchia Editore, Massarosa (Lucca) 2010.
In una celebre lettera a Ghislanzoni Giuseppe Verdi postulava, per il teatro drammatico in musica, una definizione assai azzeccata ossia quella di "parola scenica". Di fatto, librettisti e compositori dell'Ottocento e oltre sono stati formidabili artisti di teatro istinto e pratica artigianale li hanno resi infallibili nella scelta di quella che è la cifra dell'azione scenica, anzi il suo ritmo. Certo, in questa azione scenica non dobbiamo dimenticare i libretti e la loro dimensione letteraria, ma soltanto come indispensabile struttura di supporto al ruolo preminente della musica. In questo delicatissimo equilibrio tra parola scenica e musica il cantante è indubbiamente colui che rende vivo e realmente creativo il senso drammatico contenuto in un'opera lirica del passato o anche del presente. Non avrebbe senso, infatti, come fanno molti fruitori del dramma in musica (e anche molti cantanti), ascoltare la musica senza dar peso alla parola cantata, limitandosi a coglierne l'aspetto sensoriale. Ciò priverebbe l'opera lirica di quella dignità culturale che hanno i grandi capolavori di Omero e di Virgilio, anche se su un piano diverso, dal momento che tutto dipende essenzialmente dalla musica. Queste ed altre considerazioni si potrebbero fare leggendo la suggestiva biografia che Renzo Cresti ha dedicato ad un cantante, quale è stato Franco Calabrese (1923 1992), indubbiamente uno dei bassi più straordinari e versatili dell'intero panorama operistico italiano e internazionale. Franco Calabrese era nato a Palermo il 20 luglio 1923, ma si era trasferito assai presto a Lucca con la famiglia, divenendo così lucchese di adozione. A Lucca nasce la sua passione per l'arte, la musica e il teatro ed ha l'opportunità di collaborare con quell'insigne regista lucchese che è stato Guarnieri. La sua prestigiosa carriera inizia a diciassette anni con il ruolo di Dulcamara, al Teatro del Collegio Reale di Lucca, ottenendo un incredibile successo data la giovane età che lo pone all'attenzione del mondo lirico italiano in un periodo storico assai felice e, ahimè, lontano per la musica lirica. Nell'immediato dopoguerra, in effetti, il teatro in musica ebbe in Italia una fioritura e una professionalità di altissimo profilo artistico quale non ci è data più di riscontrare in epoca vicina a noi. Soltanto la contestazione del 'da riuscì a mettere in crisi, anche se per poco, quella fioritura di cantanti ed interpreti che hanno i nomi di Maria Callas, Renata Tebaldi, Giuseppe Di Stefano, fino a Mirella Freni, Nicolai Ghiaurov, Luciano Pavarotti. Ma bisognerebbe fare anche i nomi dei direttori d'orchestra, quali von Karajan, De Sabata, Gavazzeni, Giulini, Bartoletti, e senza contare quei grandi registi di teatro Strelher, Visconti, Zeffirelli, Ronconi, De Filippo che profusero la loro sapienza teatrale a favore del teatro lirico che amavano e promuovevano con sorprendente lucidità e creatività. Senza dubbio, neppure oggi mancano cantanti e registi che sanno offrire interpretazioni raffinate e convincenti del repertorio lirico, ma quella stagione resta comunque esemplare proprio per la sua capacità di dimostrare la dignità culturale del melodramma. Come documenta bene Renzo Cresti nei vari capitoli che formano questa biografia artistica del cantante lucchese, Franco Calabrese ha lavorato con tutti quei grandi nomi, che abbiamo appena nominato, e con molti altri personaggi che hanno fatto la storia della lirica in quel fortunato periodo del teatro musicale italiano. Così, Calabrese ha cantato quasi sempre con la compagine della Scala e realizzando le prime tournée mondiali, le prime incisioni discografiche del dopoguerra, le prime riprese televisive di opere liriche quando la televisione italiana ben diversa da quella di oggi svolgeva un ruolo di prim'ordine nell'elevare il tono generale della nostra cultura che usciva dal disastro della guerra. A questo proposito mi sia consentito dare la mia testimonianza personale sull'inimitabile arte di Franco Calabrese: avevo sedici anni quando, in televisione, ebbi modo di ascoltare un'edizione di Il barbiere di Siviglia nella quale Calabrese cantava nel ruolo di don Basilio. Fu quasi uno shock estetico, se così posso dire, dal momento che proprio lui mi rivelò per la prima volta il senso drammatico dell'opera in musica. Franco Calabrese, infatti, rendeva la musica rossiniana non solo con la potenza e la bellezza della voce, ma anche con una gestualità, così pertinente al personaggio, da farmi sentire le molte sfumature della musica, il ritmo, appunto, della parola scenica. In ogni caso, Renzo Cresti, che pure aveva dedicato a Calabrese un libro di per sé notevole, come Franco Calabrese un artista vero (1997), è riuscito con questo nuovo contributo, Franco Calabrese nella storia del teatro lirico italiano, a restituirci il senso di un'esistenza artistica ed un impegno eccezionale a favore del teatro che fanno del cantante lucchese uno dei più straordinari interpreti che abbiano mai solcato le scene del teatro in musica. E non è un'esagerazione. Nei vari e densi capitoli del suo libro, accompagnati anche da una documentazione fotografica, Renzo Cresti uno dei maggiori musicologi italiani ci indica le tappe di una carriera musicale quanto mai diversificata e coerente e giocata tra il repertorio tradizionale e quello contemporaneo. Renzo Cresti ci offre così le preziose testimonianze proprio dei grandi direttori, come Gavazzeni, Bartoletti e per non parlare di altri, che hanno avuto la ventura di lavorare con Calabrese e di apprezzarne moltissimo la serietà, la professionalità, la bellezza di una musicalità innata e certo coltivata con stupenda tenacia e adesione. Tuttavia, il grande merito di questa ricostruzione di Cresti è quel lato umano dell'artista lucchese che emerge, lentamente e con decisione, da altre testimonianze a lui più vicine, come quella della moglie, Bianca Barocchi, della figlia Chiara (oggi moglie di Cresti), e particolarmente di Enrica Barocchi, sorella della moglie Bianca, che ci fanno intravedere l'artista nel suo mondo quotidiano: «Il vostro grande eppur modesto babbo Enrica Barocchi è stato per me un grande punto di riferimento per cultura, umanità e onestà. Provavo una grande soggezione davanti a lui (e non solo da ragazzina), ma anche un grande rispetto e la voglia di imitarlo e di crescere culturalmente e umanamente. L'essere apprezzata e accettata da lui era per me motivo di orgoglio» (pp. 129 130). Né si deve dimenticare che Renzo Cresti ha potuto conoscere di persona Franco Calabrese avendolo avuto come collega all'Istituto "L. Boccherini" di Lucca dove il cantante, dopo il ritiro dalla carriera, insegnava arte scenica. Ma questo coinvolgimento personale nella vicenda biografica di Franco Calabrese non annulla affatto il valore di documento e di interpretazione di un'avventura artistica che Renzo Cresti ci presenta nella sua ricostruzione. Si direbbe, anzi, che arte e vita siano state così strettamente congiunte nella persona di Franco Calabrese da giustificarne, in un certo senso, la mirabile riuscita di felice connubio tra interpretazione severamente stilistica e libertà creativa e personale. D'altronde, lo studio di Renzo Cresti non ci parla solo di un cantante eccezionale, bensì di un artista a tutto tondo: Calabrese fu pittore, incisore, costruttore geniale di burattini, rilegatore ed esperto di antiquariato, quasi a dirci che egli aveva l'arte e la bellezza nel sangue. E ci vengono in mente, per concludere, quei versi di Emily Dickinson che potrebbero fare da epigrafe a tutta la vita e l'arte di Franco Calabrese: «Nessuno resta defraudato dal Cielo/ anche se il Cielo sembra un ladro, rende/ in qualche dolce modo, occultamente,/ secondo che decide il suo volere».
Libri correlati
Renzo Cresti
Franco Calabrese nella storia del teatro lirico italiano
2010
Illustrazioni di Franco Calabrese, copertina di Franco Calabrese

rassegna stampa
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