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Il Tirreno (Viareggio) - 09.11.2008
Il Tirreno (Viareggio) - 09.11.2008
Anni Cinquanta, quei gol a Vallecchia nella piazza del paese
di Luca Basile
L'eco della guerra risuonava in ricordi disperatamente vivi, sanguinanti: troppo sale su una ferita ancora aperta. Anni '50, la vita è una gioia da riassaporare a piccole dosi. Magari giocando a pallone su una piazza, fra sassi e ghiaia, un deserto sterrato e i vecchi che guardano immalinconiti dai tavolini di un bar. La piazza è quella di Vallecchia, lo stadio di allora di decine e decine di ragazzi che vivevano la strada come il giardino di casa. «Lungo il cateto più lungo, c'era una fila di platani e un fossato che divideva dalla via Provinciale; un'altra fila di platani emergeva lungo il lato dalla parte dei monti. E fra due di questi platani era fissata la porta del nostro gioco. Da quella parte, per intendersi verso la via Provinciale, c'era il monumento ai Caduti circondato da una ringhiera su cui facevano bella mostra dei pericolosi puntoni acuminati in ferro. Se non era pericoloso? E chi ci pensava al pericolo. Fra il monumento e la strada ecco un grosso cratere residuato di guerra, libero e spesso pieno di acqua. L'altro lato del triangolo era costeggiato da una strada sterrata che poi era l'arteria principale del paese lungo la quale si trovavano alcune abitazioni». La memoria di Alessandro Alessandrini, oggi medico ed assessore, ieri bambino fra altri bambini, non tradisce inciampi nella sua corsa a ritroso nel tempo. «Qualche finestra con il pallone - racconta Alessandrini - l'abbiamo rotta. E poi che suppliche per riavere la nostra palla. E tutti i pomeriggi, feste escluse - perché quando era domenica c'era il bagno da fare e da vestirsi 'ammodo' - era una gran battaglia. Dopo le 17, una volta suonata 'la tuba dell'Henraux' con gli operai in uscita dalla ditta in Pescarella, il ritrovo dei più giovani di essi era appunto nella piazza a Vallecchia. E allora da 5 contro 5 in su andava tutto bene. La composizione delle squadre? Uno grande uno piccolo, uno grande ed uno piccolo e così via a cominciare la partita con l'aggiunta di portiere solo, a turno. A volte - ricorda Alessandrini - quando eravamo in tanti mettevamo due grossi sassi, due 'pitoni' per fare un'altra porta in un angolo della piazza. Veniva fuori una sorta di campo a forma di trapezio irregolare eppure a noi, quelle due porte, ci sembravano il certificato definitivo della liceità e della serietà delle nostre partite». I nomi, o meglio i soprannomi di allora sintetizzano perfettamente, il senso dell'ironia spietata in salsa versiliese. «C'erano Pastina e Pescio, quest'ultimo perché grande nuotatore, Cuniglio, per via dei denti sporgenti causa incidente e lo svizzero dal cognome impossibile da pronunciare. C'era Italino, figliolo del barbiere grande giocatore di dama e Caronte che era innamorato delle barche, Piombo e Antò e altri i quali nomi me li sono persi nel lungo viaggio della vita. Tutti, però, a rincorrere quel pallone 'di coio co la stringa' che quando gli davi di testa ti ci rimaneva per una settimana un 'seligastrone' rosso e blu. Ruoli, schemi, tattiche e marcature: e che erano? Noi più piccoletti si correva e si correva, sudati e impolverati e il pallone, alla fine della giostra, non si toccava quasi mai. Ma che soddisfazione quando ti capitava fra i piedi e magari riuscivi a fare un gol. Ti sentivi come un re». Già. Il re di una piazza dove zampillava nuova vita. «Così la sera - riflette Alessandrini - quando nella solitudine della camera sognavi il prossimo gol, ti ritrovavi a farlo con il sorriso negli occhi chiusi. Quel sorriso che solo tu, in fondo, potevi vedere».
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