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Paroleacolori.com - 18.05.2016
Paroleacolori.com - 18.05.2016
Intervista a Marcello Forcina, autore della "Psicologia della frolla"
di Roberta Turillazzi
A tu per tu con il digital media strategist, scrittore, grastofighetto, appassionato di pasticceria.
Marcello Forcina vive e lavora a Roma, ma è originario di Fondi. Digital media strategist per professione, twitter oriented per scelta di vita; goloso per natura, scrittore per passione. Dopo una laurea in scienze della comunicazione e due master in Comunicazione e marketing, ha lavorato nell'automotive e nella distribuzione cinematografica. Attualmente si occupa di videogiochi. Ha scritto la sceneggiatura di cinque musical, uno dei quali condivide il soggetto con il suo romanzo d'esordio, "La psicologia della frolla". Gastrofighetto e appassionato di pasticceria, ama lo zucchero, ma il caffè lo beve amaro. E in tazzina. Abbiamo intervistato l'autore per parlare del suo libro, di cucina, e di molto altro ancora. Salve Marcello, è un piacere averti qui con noi su Parole a Colori per parlare del tuo romanzo d'esordio "La psicologia della frolla" e non solo.
Iniziamo parlando un po' di te. Come ti descriveresti, usando solo poche parole?
Sono un chiacchierone, mi definisco un grande curioso e goloso di passioni. Amo innamorarmi delle parole, dei sapori, dei luoghi e della bellezza. Ci metto un attimo a crearmi una nuova dipendenza, la vivo fino in fondo e poi mi succede semplicemente di passare ad altro. Se sono felice, moltiplico i sorrisi all'infinito. Quando la vita mi prende un po' male, invece, mi dicono che si fa seriamente fatica a starmi vicino.
Come nasce in te la passione per la scrittura?
Non solo gusto, ma anche vista, in questo libro, con i rimandi incrociati ai colori rosso e bianco che tornano molto spesso nella storia. Questa tua predisposizione al visivo si lega alle tue esperienze nel mondo del cinema e dei videogiochi? E pensi che far "vedere" in qualche modo le cose alle persone, quando si legge un libro, sia fondamentale per entrare nella storia?
Forse questa cosa è da leggere al contrario: non lavoravo ancora con i videogiochi quando ho scritto il libro, mentre il cinema è arrivato solo a metà scrittura. Sono io ad aver cercato, nella vita, nelle passioni e nel lavoro sempre ambienti colorati, creativi e intensi a livello di immagini e di contenuti. Sono fortunato ad aver avuto queste grandi opportunità. La scrittura che inseguo e che amo – quando sono io con la penna in mano o quando mi trasformo in un avido lettore – è descrittiva e plastica. Anche quando non è fatta di mille parole, e il genio sta proprio nel saper usare anche solo due o tre pennellate ben assestate per disegnare scenari infiniti nella mente di chi legge.
Con tanti autori che scelgono di ambientare le loro storie in città estere – Parigi e New York sono sicuramente le più gettonate – è una piacevole novità vedere Roma prendere forma nelle tue pagine. Perché hai deciso di posizionare Bea e la sua vicenda proprio qui? Che rapporto hai con questa città che, se non ricordo male, non è quella in cui sei nato ma che ti ha un po' adottato, almeno lavorativamente parlando?
A volte penso che la storia d'amore più genuina raccontata dal mio romanzo sia proprio quella tra me e Roma. Non ci sono nato, è vero. L'ho desiderata e conquistata anni fa e non posso fare a meno di ricordare quanto sia stato difficile. Roma è una città complessa da vivere e amare. Il rapporto che si instaura con lei somiglia, perciò, a una vera relazione sentimentale fatta di alti e bassi, costellata di asperità e di grandi emozioni. Per il tipo di storia che avevo in mente era lo scenario perfetto! Poi lo ammetto, la tentazione ha colto anche me, e uno dei capitoli è interamente ambientato a Parigi. Mi perdonate?
Non possiamo non parlare del titolo del libro, "La psicologia della frolla", che mi ha ricordato, per non so quale suggestione, "Il brevetto del geco" di Tiziano Scarpa edito da Einaudi. Da esperto di comunicazione e marketing, quanto pensi che contino un buon titolo e una copertina accattivante nella vendita del prodotto-libro? E quanto hai pensato a questo – all'appetibilità del tuo romanzo – quando hai scelto cosa scrivere in copertina?
Contano tantissimo e sì, ci ho riflettuto su a lungo. Volevo che il titolo avesse un suono divertente e facilmente memorizzabile. Ti ringrazio per il parallelo, forse troppo ardito per il tenore del mio testo. Ma l'idea, hai ragione, si posiziona nello stesso quadrante emotivo. Il titolo del mio romanzo fa il verso alla "Psicologia delle folle" dello psicologo Gustave Le Bon. Reminiscenze universitarie. Amo i giochi di parole e questo mi è venuto in mente pochi giorni dopo l'inizio della scrittura.
Il tuo romanzo ha più livelli di lettura, non solo per ciò che riguarda la trama, ma anche la struttura. Romanzo e ricettario procedono di pari passo, dando modo ai lettori di provare anche piatti gustosi. Ma quante vite ha, insomma, questa pasta frolla? E che significato ha per te?
Ne ha tante, tantissime. Avrei faticato a trovare nella pasticceria un impasto di base così malleabile, sia a livello tattile che narrativo. Il ricettario che ho disseminato nel libro è una bella sfida a mettersi in gioco, visto che ognuno è abituato al gusto e alla consistenza della "sua" frolla, mentre c'è un mondo enorme di possibilità.
Nasce dal bisogno di giocare con le parole, un'esigenza che mi porto dietro da sempre e che cerco di esplorare in qualunque modo possibile – chiacchierando, twittando, inventando storie e idee, per lavoro e per piacere. Ho passato l'adolescenza a condurre programmi d'intrattenimento sulle radio private, ho scritto e portato in scena 5 musical per bambini e ragazzi. Ho anche provato a fare il giornalista, ma forse quella non era la mia strada.
Hai sempre saputo di voler fare lo scrittore "da grande" oppure l'idea ha preso forma nel tempo? Insomma, Marcello a 6/7 anni sarebbe voluto diventare… ?
A sei anni, un postino. A sette, un astronauta. Le due idee sembrano non avere grande coerenza – né tra loro né col lavoro che faccio adesso (sono digital media strategist, prima che scrittore) – e forse è vero. L'unica cosa che avevo chiaro fin da piccolo è che non mi sarei mai sforzato di imporre una coerenza di fondo a una sconfinata costellazione di sogni e di hobby. Forse avrei dovuto dar retta a ben altri segnali, visto che a sei anni avevo già fondato il mio primo giornalino di quartiere. Il desiderio di scrivere l'ho sempre avuto, dovevo solo capire come canalizzarlo. A dire il vero questo non mi è ancora chiara del tutto.
Hai esordito con un romanzo edito da Marco Del Bucchia Editore, dal titolo "La psicologia della frolla". Prima di entrare nel merito dell'opera, voglio dirti che leggere il nome di un autore maschio sulla copertina di un romanzo del genere è stata la prima cosa che mi ha colpita. Cosa ti ha spinto a cimentarti in due campi – cucina e amore – che negli ultimi anni sono stati soprattutto appannaggio delle donne?
Mi divertiva troppo l'idea di cimentarmi con qualcosa di non convenzionale. Dolciumi e amore sono un abbinamento perfetto: si scrive così bene attorno a questi due temi. Non dovrebbero mai mancare, davvero, sulle librerie come nella vita. Strano, no? Se nelle grandi cucine i nomi maschili sono più numerosi e accreditati di quelli femminili, in tv, sui blog e nei romanzi è l'altra metà del cielo a prendere il sopravvento. Non credo ci sia un motivo e forse lo trovo anche poco giusto. Spero solo che il mio esperimento sia risultato credibile e godibile. Perché i personaggi che avevo in mente e la loro storia si sarebbero sentiti a disagio in qualsiasi altra forma stilistica.
Una storia ironica e dolce, che tocca però anche temi importanti come quello familiare – con il difficile rapporto tra la protagonista Bea e la sorella Emma, e la figura del padre che cerca di restare neutrale. Quanto è stato complesso costruire un romanzo a più livelli come questo? Hai iniziato da una componente – magari quella romantica – per poi arricchire via via il tuo quadro oppure le varie anime della "Psicologia della frolla" sono nate quasi al contempo?
Il romanzo è figlio di un musical che ho portato in scena anni fa e di cui condivide il soggetto narrativo. La relazione tra le due sorelle e l'amore incondizionato del padre sono l'elemento comune delle due storie. L'ambientazione, la pasticceria e la storia d'amore, invece, sono arrivati dopo. Mescolare tutti gli "ingredienti" non è stato facile. Prima di iniziare a scrivere, ho dedicato qualche mese a chiarirmi le idee. Poi, quando il romanzo ha preso forma, mi ha emozionato vedere come ordito e trama si siano organizzati così bene tra loro.
Il libro è edito da Marco Del Bucchia Editore. Com'è stato lavorare con loro?
Marco Del Bucchia è un artigiano del libro. La sua è una piccola casa editrice, con una bella storia di tradizioni familiari e passione per la letteratura autentica e di qualità.
Hai pensato sin da subito "voglio che il mio romanzo sia pubblicato da un editore tradizionale" oppure avresti considerato anche altre strade, come ad esempio l'auto-pubblicazione?
Non avevo le idee chiarissime sul mondo dell'editoria, ammetto di capirci poco anche adesso. Mi sono lasciato guidare dall'istinto e, nei momenti più complicati, ho sperato che quella che stavo facendo fosse la scelta giusta. Di sicuro ho sempre voluto la stampa fisica – subisco il feticismo del libro stampato, della copertina flessibile e del fruscio della carta. L'unica cosa certa è che non avrei mai accettato una pubblicazione a pagamento. Desideravo trovare un interlocutore appassionato come me della mia storia e del mio modo di raccontarla.
Da autore esordiente, con una pubblicazione all'attivo, che consigli ti sentiresti di dare a chi sogna di dare alle stampe la propria storia? Oggi – tra self, social, blog e chi più ne ha più ne metta – le possibilità di arrivare sono davvero aumentate?
Consiglierei di non smettere mai di crederci. Di affrontare la scrittura con entusiasmo ed energia. Se necessario, di prendersi delle pause. Di soffrire fino in fondo e poi di ripartire, perché scrivere non è quasi mai una strada facile. Di costruire e consolidare abitudini e rituali. E di conservare un bottino di ricordi e di emozioni attorno ai quali costruire una storia concreta da far vivere sui social, su un blog, nelle interviste, nelle presentazioni e nei rapporti con i potenziali lettori. Questo rende il libro un'esperienza reale e non solo un soprammobile.
Dopo tutto questo parlare di cibo ti immaginiamo cuoco provetto, oltre che scrittore. Ci abbiamo visto giusto?
Preparo dolci da anni e devo dire che sono diventato piuttosto bravo. Amo cucinare anche il salato, ma con risultati meno esaltanti! Ho tanta strada da fare, ma è un bel percorso. Tra una cosa e l'altra, il cibo è diventato uno dei miei principali interessi. Leggo tanto, studio, scrivo e collaboro con addetti ai lavori. Ormai organizzo i miei viaggi sulla base del potenziale enogastronomico delle varie mete turistiche.
Pastafrolla a parte, c'è un piatto che ami particolarmente – cucinare ma anche mangiare – che ti sentiresti di consigliare ai nostri lettori?
Posso essere genuinamente banale? Le polpette al sugo della nonna, la torta di mele con la cannella, ma anche il timballo di riso con le uova bollite, la crosticina bruciata e la mozzarella filante. Da bravo gastro-fighetto, come amo definirmi, però so già che dopo questa discesa nel tradizionale domani prenoterò una cena creativa e sofisticata per rimediare.
Stai già lavorando a qualcosa di nuovo o ti godi il meritato riposo del guerriero?
Non sto propriamente scrivendo, ma sto elaborando e facendo lievitare una nuova idea. E le parole che ho usato non le ho scelte a caso!
E qual è, a oggi, il tuo sogno nel cassetto?
Non smetto mai di sognare, ma nel mio cassetto non ci sono neppure calzini appaiati! Metto un po' in ordine e poi vi faccio sapere…
Grazie a Marcello Forcina per essere stato con noi.
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Marcello Forcina
La psicologia della frolla
Romanzo
2016
Copertina di Tommaso Jardella

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