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vebpost.it - 23.12.2014
vebpost.it - 23.12.2014
L'Unica Cosa che Non Cambia: Incontro con Laerte Neri
Qualche giorno fa, alla Casa dei Giovani a Querceta, Laerte Neri ha presentato il suo nuovo libro "L'unica cosa che non cambia" un'antologia di racconti, che narrano come ha detto lo stesso autore durante la presentazione, di cose misteriose: il diventare grandi, l'amore, il senso della vita. Lo incontriamo, anzi lo bracchiamo dopo la presentazione, ancora emozionato, non solo per la riuscita dell'evento ma anche per aver tenuto la sua prima presentazione proprio a Querceta, dove vive. Dai Laerte, togliamoci il dente e partiamo con il domandone classico a cui nessun scrittore può sottrarsi. Cos'è per te la scrittura? Insomma perché hai deciso di fare lo scrittore? Innanzitutto la scrittura per me è un'amica fidata, è un atto di esplorazione di cui sento la necessità. E poi sì, certo, vorrei tanto che la scrittura diventasse un lavoro a tutti gli effetti. Difficile adesso, anche tu ne sei consapevole, tanto che, sempre nel libro, affermi che è un momento difficile per l'editoria, che l'Italia è un popolo di non lettori, che le probabilità di essere notato da una grande casa editrice sono praticamente nulle. Sì, il momento è difficile, la crisi e tutte quelle cose lì… è vero che siamo un popolo che legge poco. Però sono fortemente convinto di una cosa: si legge male e ci si disaffeziona alla lettura. Bisognerebbe imparare a leggere ciò che ci piace. Capire i nostri gusti e soddisfarli. Io, per esempio, non credo che ai ragazzi non piaccia leggere. Ci vorrebbero testi adatti a loro, dovrebbero essere accompagnati nella lettura e anche nella scrittura. Scrivere non è solo conoscere la grammatica: è allenare l'immaginazione, è vedere le cose da più punti di vista, è capire perché una cosa ci piace e quali sono i meccanismi della narrazione. Lo vedo spesso con il teatro (Laerte è un operatore teatrale ndr), i ragazzi si appassionano, basta trovare il canale giusto. Certo se le proposte si limitano ai "Promessi Sposi" letti forzatamente a quattordici anni… Eh si, diciamo che la letteratura imposta alle scuole certe volte non aiuta, ma torniamo al tuo libro, ai tuoi personaggi, alle tue storie, che sono ambientate in Versilia, sei molto legato ai tuoi, ai nostri, luoghi? Si sono legato alla Versilia: è un posto che conosco bene, ci sono nato, cresciuto e ci vivo. Mi piace scrivere partendo da cose che conosco. A 16 anni scrivevo di personaggi che si chiamavano Michael o Jacqueline e che vivevano in grandi città. Poi ho capito che potevo parlare di cose importanti anche con un protagonista di nome Giacomo che vive a Viareggio: anzi partendo da questo riuscivo a essere meno generico, a scendere meglio nel particolare. E' bello ritrovare i luoghi in cui uno vive nei libri, ti mettono a tuo agio, ed entri in maggiore confidenza con il libro. Tu hai dedicato anche la copertina ad un luogo della Versilia. Si, è un disegno di Tommaso Jardella che raffigura il Ponte del Principe all'interno del parco della Versiliana: è un luogo che mi piace molto e ha un ruolo importante proprio nel racconto che da il titolo all'antologia. Infine il ponte come metafora: il collegamento fra due realtà, fra due persone. Invece come dai vita ai tuoi personaggi, sono completamente immaginari o c'è qualcosa di autobiografico? Qualcosa di mio c'è. E' impossibile non scrivere di ciò che si è vissuto. I personaggi e la maggior parte degli eventi sono inventati, non sono fatti realmente accaduti, ma sono comunque frutto di una rielaborazione della realtà legata alle mie esperienze. Calvino, autore che mi è molto caro, dice però che sempre quando si scrive si racconta qualcosa che non si conosce: scriviamo proprio per rendere possibile al mondo non scritto di esprimersi attraverso di noi, per cercare di dare una forma, tramite il linguaggio. L'unica cosa che non cambia è il racconto che da il titolo al libro, ci racconti brevemente la storia? E' la storia di due ragazzi, Anna e Marco, proprio come i protagonisti della canzone di Dalla, del loro incontro in un momento critico per entrambi e di come questo cambierà il corso delle loro vite. Parla anche del coraggio di lasciare andare quello che è stato, e del fatto che a volte stranamente, inspiegabilmente, matematicamente "meno per meno fa più". C'è un altro racconto che mi ha toccato molto e parla d'amore, un amore particolare, complicato. Una scala per il paradiso. E' un racconto a cui tengo molto. E' la storia della relazione fra un giovane ultras del Livorno e una donna quarantenne, sposata, pugliese, che fa la catechista. Ho descritto la storia da i punti di vista dei due protagonisti. Giacomo, l'ultras, l'ho raccontato in prima persona, cercando quindi di far emergere le sue emozioni, i suoi flussi di pensiero; Rita invece, la catechista, l'ho raccontata in terza persona: saranno le sue azioni a raccontarci di lei. E' una storia piena di contraddizioni, che metterà in discussione le verità di entrambi. Ho voluto indagare queste domande: cos'è l'errore? A che serve il senso di colpa? La repressione dei nostri impulsi è una strategia vincente? Rita si relazionerà quindi col tema della spiritualità, con la figura di Gesù, col credere o non credere, mentre Giacomo troverà in lei qualcosa che non riesce a trovare nelle sue coetanee. Grazie Laerte ed in bocca al lupo! Lunga vita al lupo! "L'unica cosa che non cambia" (Marco del Bucchia Editore) potete ordinarlo direttamente dal sito dell'editore oppure sarà fra poco disponibile nelle librerie della Versilia. Ora tocca a noi iniziare a sfatare alcuni miti, comprarlo, leggerlo, divorarlo, farselo prestare, qualsiasi cosa, basta tornare ad innamorasi della lettura, così come Laerte ne è innamorato e ce lo trasmette in ogni pagina del suo libro.
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L'unica cosa che non cambia
Racconti
2014

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