home | | info editore | info sito | contatti | ordini
Ricerca in catalogo
Cosa cercare

Dove cercare
Persona Titolo
Collane
Vianesca/Poesia e narrativa
V/Storie gialle e noir
Studia/Scienze umane
Sos/Storia o storie
Juvenilia/Storie per ragazzi
Progetti
Virinforma/Rivista bimestrale
Unatantum/Rivista aperiodica
Didala/Rivista annuale
Link
Presentazioni e appuntamenti
Rassegna stampa
Premi letterari
Newsletter
Inserire la propria email

 
Il Tirreno (Pisa) - 21.01.2013
Il Tirreno (Pisa) - 21.01.2013
Un chimico che ama le poesie e il mistero
Pisa. Andrea Falchi, 36 anni, chimico, esordisce con la poesie pubblicando ben sei libri. Poi, si avvicina alla prosa col racconto "Binario 9" edito da Caosfera. Quindi, l'anno scorso pubblica due romanzi gialli: "Effetto domino" e "Effetto San Matteo" con la casa editrice Del Bucchia. Falchi fa conoscere ai lettori la sua coppia d'investigatori: il commissario Silvestri e l'ispettore Titta. Il racconto di Andrea Falchi che pubblichiamo è ambientato in una Pisa del futuro dove il giovane commissario Silvestri ricorda il bisnonno che indagava con mezzi meno tecnologici.
Alle prime luci dell'alba, via della Faggiola sonnecchiava ancora in uno stato di ovattato dormiveglia. Poco distante la torre oscillava di un moto impercettibile intorno ai suoi quattro gradi di pendenza. Le tecnologie più recenti, a base di campi elettromagnetici, permettevano al famoso monumento di mantenere stabile l'inclinazione senza dover ricorrere ad antiestetici tiranti d'acciaio. Un mazzolino di fiori. Un soffice rumore, come di una testa che si posa su di un cuscino, annunciò l'annuale appuntamento che da sessant'anni si ripeteva al numero civico 19 di via della Faggiola. Un mazzolino di fiori, tenuto insieme da un nastro bianco, rosso e verde, fu depositato davanti al portone della casa. I passi affrettati di un'anziana signora contrastavano con il silenzio impalpabile della mattina. Un urlo improvviso squarciò l'aria frizzantina di quel 9 novembre. Il vento, piangendo, soffiò un po' più forte e un ingiallito pezzo di carta volò via dal mazzolino di fiori, andandosi a depositare poco più in là e incastrandosi sotto lo stipite del portone al numero civico 21. Poi il rumore secco di cardini poco oliati, che sbattono, svegliò la via di soprassalto. Il ritrovamento. «Capo, l'ho trovato, è qui, sotto questo portone» disse l'ispettore di polizia Titta davanti al numero 21 di via della Faggiola. «Bravo, non lo toccare con le mani, mettiti i guanti e portamelo qui, così lo metto sotto lo scanner» gli rispose il giovane commissario Silvestri. Nel frattempo l'ispettore scoppiò in un fragoroso starnuto. «Chissà cosa c'è scritto? Deve essere un foglio vecchio, di quelli di carta. Fossimo al tempo dei nostri antenati, sapremmo leggere questo… come si chiamava?». «Corsivo, Titta, si chiamava corsivo. Pensa che il mio bisnonno quando era commissario risolveva i casi sfogliando i libri, cercava gli indizi nelle pagine polverose dei romanzi». «E li toccava, intendo, li toccava proprio con le mani?». «Sì, Titta, l'umanità non aveva ancora sviluppato l'allergia alla carta che oggi ci affligge. Pensa se questo foglio finisse nelle mani sbagliate, quelle di un bambino per esempio. Tu l'hai solo sfiorato con i guanti e guarda che raffreddore». Le impronte digitali. Lo scanner confermò la presenza di cellulosa al novanta per cento, acido nitrico, solfato di alluminio e potassio, carbonato di sodio e una resina vegetale, la colofonia. Rivelò inoltre una certa quantità di blu di Prussia e di tracce ematiche, oltre che una serie d'impronte digitali tutte riconducibili alla stessa persona. «Scusa Titta, ma l'uomo che ci ha segnalato questa mattina la presenza del foglio ci ha anche parlato di una persona ferita?». «No, commissario, me lo sarei ricordato». Circa cinquanta anni prima il ministero della salute aveva bandito qualsiasi tipo di supporto cartaceo per una brutta allergia causata dal contatto del derma della pelle con la cellulosa quando la composizione percentuale di tale sostanza superava il cinquanta per cento del totale, favorendo così l'introduzione progressiva di piattaforme digitali fino alla completa scomparsa della carta. Da quel momento in poi la popolazione aveva ritrovato nuovo vigore, ma con l'estinzione della carta l'umanità aveva perso gradualmente la capacità di scrivere e di decifrare calligrafie differenti da quelle utilizzate da computer o tablet. Il cadavere. Con una spallata, Silvestri aprì il portone del 21 e vide, stesa per terra, esanime in una pozza di sangue, un'anziana signora. Prese nuovamente lo scanner, vi posò sopra l'indice sinistro della vittima e lesse ad alta voce le sue generalità: «Teresa Fattori, nata a Osimo il 20 dicembre 1920 e residente a Pisa». La videata proseguiva con altre informazioni più o meno interessanti. Le impronte sul mazzo di fiori erano quindi della povera donna. L'indagine si era arenata richiudendosi su se stessa. «E ora che avrebbe fatto il suo bisnonno, capo?». «Carlo Silvestri avrebbe preso un libro dalla sua libreria e si sarebbe lasciato ispirare dall'odore della carta, dall'inchiostro imperfetto della stampa e… sfidando il caso avrebbe risolto il caso». La libreria.ì «E cosa sarebbe una libreria?». «Troppo complicato da spiegare, Titta. Vedi, la libreria è un insieme di emozioni, è il racconto di una vita, della nostra vita, è il termometro delle nostre passioni, dei nostri interessi. Ci racconta se siamo ordinati oppure caotici, romantici oppure materialisti, se amiamo la storia oppure la poesia. Noi comunque abbiamo i nostri metodi moderni, all'avanguardia, ci basta un clic ed ecco accorrere in nostro aiuto le più avanzate tecnologie. Per esempio, non abbiamo più nemmeno bisogno del medico legale». «Sì, però commissario lei la dice con una certa tristezza, questa cosa della modernità». «Lo so, Titta, non ci posso fare niente. Ci sono delle notti in cui sogno di entrare in una biblioteca e di respirare l'odore di un libro, di toccarlo, di rigirarmelo fra le mani. Purtroppo, però, è solo un assurdo sogno». Silvestri prese dalla sua borsa un altro strumento di dimensioni simili a un telefono cellulare che era in grado di rilevare e analizzare la forma di una ferita da taglio, il calibro di un proiettile e anche le minime variazioni di temperatura di un cadavere. Lo passò quindi sopra il corpo della vittima. Dopo un bip bip di una decina di secondi, lo schermo restituì il suo referto. Teresa Fattori era morta per un colpo di forbici da potatura inferto alla schiena dopo un'agonia di una decina di minuti. Intorno alla ferita c'erano tracce di una pianta rara del genere farfugium japonicum. L'ora della morte risaliva alle 6.54 di quella stessa mattina. La donna, quindi, non era morta sul colpo, anche se chi l'aveva uccisa, forse, aveva creduto il contrario. Possibile che in quei dieci minuti non avesse lasciato neanche un indizio? Nessuna strumentazione, nemmeno la migliore, gli avrebbe mai rivelato però il nome dell'assassino e il perché di quel gesto folle. Per quello sarebbero sempre serviti la poesia dell'intuito, il fascino della ricerca. Silvestri uscì dall'antro buio e nauseabondo del 21 e, alzando lo sguardo in direzione del portone adiacente, vide una targa che dichiarava che in quella casa aveva abitato un certo Leopardi per qualche mese a cavallo degli anni 1827-1828. Il numero 8. Sotto il numero civico 19, di un tratto incerto e irregolare, c'era disegnato un numero otto. Silvestri lo osservò meglio e capì che si trattava di sangue. Comparò le tracce ematiche trovate sul foglio e sul corpo della vittima con quelle della macabra pittura murale. Corrispondevano. Teresa Fattori dunque, prima di morire, aveva maneggiato il foglio, disegnando anche quel misterioso otto. Perché perdere dei secondi preziosi e dipingerlo sotto il numero civico 19 e non sotto il 21? Perché abbandonare il foglio di carta sotto lo stipite del portone se era una delle ultime cose che aveva manipolato prima di morire? Silvestri non credeva che quel pezzo di carta fosse finito lì per caso. Era sicuro che ci fosse un collegamento con l'assassino. Quello che il commissario non avrebbe mai saputo era che il foglio di carta era stato nascosto dalla vittima dentro il mazzo di fiori dopo essere stata pugnalata e poi, per un capriccio del destino, era sbucato fuori per farsi trovare alle prime luci dell'alba. La donna misteriosa. Almeno il mistero che da sessant'anni aleggiava per le vie del centro della città era stato risolto. Teresa Fattori era la misteriosa donna che ogni anno lasciava quell'omaggio floreale in onore dell'illustre poeta marchigiano. Avvicinandosi meglio alla composizione, Silvestri vide che quei fiori erano semplici esemplari di margherite diploidi che nulla avevano a che fare con il genere del farfugium japonicum. Qual era il collegamento, dunque, fra il numero otto e questa rara pianta? La pianta leopardo. Fece una nuova ricerca e scoprì che il nome volgare della pianta trovata sui bordi della ferita mortale era "pianta leopardo". A questo punto utilizzando una stringa di ricerca elaborata con le parole "otto" e "pianta leopardo" il suo computer restituì un solo risultato: Otto Mangano, professore di lettere in pensione, appassionato di piante rare. Ecco perché l'anziana donna aveva scritto il numero otto sotto la casa del Leopardi e non sotto il numero civico 21 dove era crollata a terra esanime. Lei conosceva chi l'aveva accoltellata e voleva lasciare un indizio più che consistente. Il letterato. «Ecco cos'è una libreria, Titta» esclamò Silvestri facendo irruzione nella casa del professor Mangano e indicando i circa cinquemila volumi disposti in ordine alfabetico su di una scaffalatura in legno intarsiata a mano. L'ispettore non fece a tempo a dire «che meraviglia» che in un istante si ritrovò a terra, svenuto. Silvestri, invece, ebbe una resistenza migliore riuscendo a sventolare davanti agli occhi dell'incredulo letterato il foglio di carta ritrovato sul luogo dell'omicidio. Il commissario, pur non sapendo cosa ci fosse scritto, sperava in una sua reazione. E la reazione ci fu, anche migliore del previsto. «Dove l'avete trovato?» disse piangendo di gioia il professore toccando quel foglio come si accarezza un figlio scomparso da anni. Otto Mangano aveva una pelle maculata di un colore giallastro simile alle foglie della pianta leopardo. Sicuramente il contatto prolungato con i cinquemila volumi della sua libreria aveva deformato le cellule epiteliali della sua epidermide. La confessione. Il professore rese una confessione spontanea dichiarando che di recente era venuto a sapere che il foglio tanto agognato era in mano a una certa Teresa Fattori, discendente di quella Teresa Fattori per la quale il Leopardi scrisse a Pisa tra il 19 e il 20 aprile una delle sue più famose poesie: A Silvia. E lui lo desiderava a tutti i costi, anche a quello di uccidere. «Ma su quel foglio cosa c'era scritto?» chiese ancora confuso l'ispettore Titta. «Ancora non l'hai capito? È l'originale della poesia A Silvia, scritta di pugno dal Leopardi stesso. Mangano è impazzito quando l'ha scoperto!». «Ma come faceva il professore a vivere in quelle condizioni igieniche?». «Mangano aveva una mutazione genetica che gli permetteva di poter stare in contatto con la cellulosa, fortunato lui, ma la sua follia l'ha divorato». «Me lo diceva il mio bisnonno che leggere faceva male!» concluse sarcasticamente l'ispettore Titta.
rassegna stampa
copyright | marco del bucchia marco del bucchia s.a.s. | p.i. 01859680462