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Il giornale della musica - 01.09.2012
Il giornale della musica - 01.09.2012
Cage italiano Giancarlo
di Elisabetta Torselli
Cardini racconta una lunga amicizia. Chi c'era non può dimenticare quel concerto fiorentino del 21 giugno 1992 alla Sala del Buonumore del Conservatorio straboccante di pubblico, una delle ultime apparizioni pubbliche di John Cage. Ma per Giancarlo Cardini, che quel concerto lo promosse, quello era solo l'ultimo capitolo di un rapporto importante. E anche nel recente libro-intervista di Paolo Carradori, "Giancarlo Cardini: la musica, il novecento" (Marco Del Bucchia Editore) Cage costituisce uno dei motivi conduttori.
Cardini, per Lei come per molti l'incontro con Cage è stato probabilmente determinante per cristallizzare un'estraneità profonda rispetto ai rigori e ai "dover essere" di Darmstadt e dintorni.
«Sì, ma in me quella strada era stata aperta da Giuseppe Chiari, uno dei fondatori di Fluxus, che viveva a Firenze. Chiari aveva in comune con Cage, oltre all'aspetto ludico, anche ciò che vorrei chiamare "estensione del sonoro", estensione agli ambienti, alle situazioni. L'incontro personale con Cage fu preceduto dalla conoscenza degli scritti e dall'ascolto ed esecuzione di sue opere, e la prima cosa che mi fulminò ed emozionò furono i pezzi per pianoforte preparato. L'avevo visto più volte alla Biennale, l'ho conosciuto più personalmente a Milano nel febbraio del 1979. Qualche mese dopo andai a trovarlo a New York, poi, in giugno, mi chiamò per partecipare a un festival a lui dedicato a Bonn, e in quell'occasione eseguii, insieme a David Tuclin il pianista di Cage per eccellenza, e altri esecutori Winter Music, una versione per sette pianoforti, sovrapposta ad Atlas eclipticalis con Cage che dirigeva, e lo spettacolare e multimediale HPSCHD (abbreviazione di harpsichord, prevede infatti una serie di clavicembali). Poi vennero altri festival italiani dedicati a Cage, a Roma nel 1980 e a Torino e Ivrea nel 1984, quando ebbi la soddisfazione di suonare in sua presenza le Sonate e Interludi per pianoforte preparato».
E oggi?
«Continuo a rileggere gli scritti di Cage e lo ritengo una delle menti più grandi,raffinate e profonde del Novecento. Però riconosco che non sono così illuminato da rinunciare ad una scelta: mi sento ancora costretto a dire "questo mi piace, questo no"».
Immagino Le sia capitato molte volte di eseguire 4'33''...
«Sì, fin dall'inizio degli anni Settanta. Allora il problema era governare in qualche modo le "interferenze" di un pubblico timoroso di non essere à la page. Come quella scia sonora di un aereo che Cage volle lasciare in una registrazione le cose effimeramente coinvolte in un gioco indefinito di intepenetrazioni, colte tenendo la percezione aperta a tutti gli eventi laterali, a questi sciami ai piccole cose, di cui Cage parla in Silence».
Libri correlati
Paolo Carradori
Giancarlo Cardini: la musica, il novecento
A colloquio con uno dei principali musicisti contemporanei italiani
2011
Prefazione di Sylvano Bussotti, Renzo Cresti, Mario Gamba, copertina di Paolo Carradori

rassegna stampa
copyright | marco del bucchia marco del bucchia s.a.s. | p.i. 01859680462